martedì 4 marzo 2014

Sintesi della Proposta di Riforma elettorale

Sintesi proposta di legge di riforma elettorale

Il rilancio del ruolo dei partiti in un’ottica di legittimazione delle coalizioni e di stabilità dell’azione di governo (e di quella di opposizione) non deve condurre ad accettare un sistema elettorale come quello attuale, che riduce il voto ad un plebiscito sul Presidente del Consiglio: le esperienze democratiche più avanzate in Europa dimostrano che esistono strumenti e tecniche per coniugare la democrazia dei partiti con la legittimazione e la stabilità dei governi e con il controllo democratico
degli elettori sui candidati di partito.
E’ in questa prospettiva che va presa in esame l’ipotesi di democratizzare il sistema elettorale riprendendo il collegio uninominale come modello preferibile – in particolare nei confronti delle preferenze, che nel contesto partitico attuale rischiano di produrre il doppio effetto negativo di scatenare la competizione intra-partitica e far lievitare i costi (nascosti, dunque intrinsecamente illeciti) della politica – al fine di restituire il potere di scelta agli elettori.
Il collegio uninominale è infatti il luogo nel quale il partito assume il volto concreto di un candidato, che diventa la “faccia” della coalizione e del programma in uno specifico contesto.
Un sistema elettorale basato solo su collegi uninominali maggioritari, se presenta il vantaggio della semplificazione del rapporto fra gli elettori ed il deputato del loro territorio, presenta tuttavia alcuni svantaggi, i principali dei quali sono l’effetto negativo complessivo che esso produce riguardo alla configurazione della rappresentanza e la eccessiva localizzazione della medesima.
Occorre allora combinare le candidature di collegio con quelle di partito.
1. La proposta che si avanza presenta di conseguenza un miscuglio per l’assegnazione dei seggi per la Camera dei Deputati, la quale avviene mediante tre diversi “canali”:
a) collegi uninominali maggioritari;
b) una quota proporzionale distribuita su base circoscrizionale;
c) una quota nazionale di compensazione;
2. L’elettore dispone di una sola scheda, su cui vota solo per un candidato di partito in collegi uninominali; il voto, automaticamente, è attribuito anche alla lista del medesimo partito presentata per ciascuna circoscrizione. Nella scheda, accanto al simbolo e al nominativo di ciascun candidato nel collegio uninominale, è presente anche la lista dei candidati concorrenti a livello circoscrizionale.
3. Una quota pari al 70% dei seggi in palio (corrispondente a 433 seggi) è attribuita agli eletti in collegi uninominali maggioritari a doppio turno. E’ eletto al primo turno il candidato che ottiene la metà più uno dei voti validamente espressi; altrimenti si da' luogo ad un secondo turno aperto a tutti i candidati che abbiano ottenuto una percentuale pari ad almeno il 10% dei voti degli elettori iscritti nelle liste elettorali. È prevista la possibilità, da esprimere entro il primo venerdì successivo allo svolgimento del primo turno, di rinunciare a presentarsi al secondo. Nel secondo turno è eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti.
4. Una quota pari al 28% di seggi (corrispondente a 173 seggi) è attribuita con metodo proporzionale su base regionale o pluriprovinciale. E’ previsto lo scorporo, per ciascun partito, dei voti ottenuti al primo turno dei candidati eletti nei collegi uninominali sia al primo che al secondo turno. Per l’attribuzione di questi seggi è prevista una soglia circoscrizionale di sbarramento pari al cinque per cento dei voti validi.
5. Una quota di seggi pari a 12 (diritto di tribuna) è attribuita con metodo proporzionale alle liste nazionali corrispondenti ai partiti che non siano riusciti ad eleggere candidati né nei
collegi uninominali né nelle liste circoscrizionali collegate. Per l’attribuzione di questi seggi viene applicato il metodo d’Hondt se tra le liste si siano presente in almeno 5 circoscrizioni.
6. Infine, è previsto che sia possibile candidarsi contemporaneamente in ciascuna delle tre
“quote”, ma con un massimo di una sola candidatura in un collegio e in una lista regionale.
7. L’assegnazione dei seggi per il Senato della Repubblica avviene solo attraverso due “canali”, per garantire il rispetto dell’articolo 57 della Costituzione, il quale richiede che venga eletto “su base regionale”:
a) collegi uninominali, per una quota pari al 70% del totale dei seggi in palio (216 seggi)
b) una quota proporzionale distribuita su base circoscrizionale (Camera) per una quota pari al 30% del totale (93).
Non viene dunque prevista la quota nazionale di compensazione.
8. Per la pari opportunità fra i generi, sono previste due misure specifiche
a) Nel complesso delle candidature (uninominali e circoscrizionali) nessuno dei due generi
può essere rappresentato in misura superiore al cinquanta per cento.
b) Le liste circoscrizionali devono prevedere l’alternanza di genere nella successione dei candidati
c) Le liste nazionali devono prevedere l’alternanza di genere nella successione dei candidati e nelle candidature di una stessa lista nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al cinquanta per cento.

Il S.I.D.I. - nella persona di Pietropaolo Giuliano desidera far partecipare attivamente il popolo alla vita politica; Ricordate che in base all'Articolo 1 della nostra Costituzione il popolo è sovrano, la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, quindi non può assolutamente decidere il politico. Invito ad esprimere il vostro parere riguardo la Riforma elettorale.

_______________________________________________

SEI D'ACCORDO SU QUESTA RIFORMA ELETTORALE?

LASCIA UN COMMENTO E DICCI COME LA PENSI!




mercoledì 3 ottobre 2012

Repubblica.it - Repubblica Motori

SICUREZZA Più aiuti ai disabili "diritto alla mobilità”

L'Aci propone soluzioni dedicati con prodotti specifici
"Oltre 560.000 automobilisti italiani sono disabili. Sono appena l'1,6% del totale ma aumentano di 20.000 unità ogni anno, soprattutto a causa di incidenti stradali. Le maggiori criticità con cui devono confrontarsi nel traffico sono tre, imputabili al disinteresse degli altri e delle amministrazioni: il mancato rispetto degli spazi riservati; l'inaccessibilità di alcune aree con marciapiedi e scalini non a norma; l'assenza di cultura della disabilità, prevalentemente in città".

Comincia così L'Aci ad introdurre un problema ancora ignorato da anni "malgrado la attenzione crescente delle Case automobilistiche e lo sviluppo di software di riconoscimento vocale per l'uso di tergicristalli, frecce, abbaglianti, finestrini, aria condizionata, radio e impianti di telefonia. La maggior parte delle vetture può essere adattata ai disabili con costi ragionevoli e reti di autonoleggio sono in grado di fornire veicoli in risposta ad ogni esigenza, anche con formule a lungo termine. I dati ACI-Istat sugli incidenti stradali evidenziano poi che i patentati speciali sono i conducenti che provocano meno sinistri".

 Ecco quindi una una serie di prodotti e servizi anche per questi automobilisti lanciati dall'Aci, come "PRA a domicilio" per il disbrigo delle pratiche automobilistiche ai cittadini con problemi di mobilità. O gli incontri - ne sono già stata fatti 700 nell'ultimo anno - "ACI per il Sociale" a favore delle categorie più deboli, tra cui disabili,

extracomunitari ed anziani, per fornire loro suggerimenti e consigli per la soluzione dei problemi in automobile. E poi c'è la sezione del sito www. aci. it è dedicata ai disabili, con vademecum e guide pratiche per documenti e attestati. Il soccorso stradale ACI 803.116 ha attivato cinque anni fa una procedura con cui sordi e muti possono richiedere l'intervento di un carro-attrezzi tramite sms, ricevendo in forma testuale le informazioni sul soccorso.

Ma soprattutto la nuova tessera "ACI ... inoltre", che costa meno delle altre carte associative ma propone gli stessi vantaggi integrati da un mix di servizi per disabili, come l'invio di due mezzi di soccorso (uno per l'auto e l'altro per l'automobilista), l'assistenza sanitaria in viaggio, la disponibilità di un veicolo sostitutivo o il rimborso delle spese di rientro a casa in caso di grave guasto meccanico. Per rispondere al meglio a tutte le esigenze, l'ACI, in collaborazione con il SIDI  -  Sindacato Italiano Diritti Invalidi che ha contribuito alla realizzazione del progetto, distribuisce la tessera solo attraverso le associazioni dei disabili sul territorio, partner fondamentali per la continua messa a punto della gamma di servizi.

"Per un disabile oggi è più facile muoversi in auto che con il bus o il treno  -  dichiara il presidente dell'ACI, Angelo Sticchi Damiani  -  grazie anche al nostro impegno per la salvaguardia del diritto universale alla mobilità. L'automobile non è solo il mezzo preferito per gli spostamenti, ma anche un'inesauribile fonte di divertimento e di passione, come dimostrano i 100 piloti disabili tesserati ACI-CSAI". Sulla mobilità dei disabili e sulla tessera "ACI ... inoltre" si svolgerà domani 29 settembre a Roma (alle 10.30 presso la Biblioteca Nazionale in viale Castro Pretorio 105) una giornata di confronto tra l'Automobile Club d'Italia, il Sidi e le altre associazioni dei disabili, patrocinata dal III Municipio di Roma.
 
 

28 settembre 2012

mercoledì 5 settembre 2012

ASL ROMA B, POLIAMBULATORIO CASALBERTONE

POLIAMBULATORIO DI CASALBERTONE. QUESTA è LA SITUAZIONE...
L'UNICO MODO PER ENTRARE E SUPERARE DUE RAMPE DI SCALE è CON LA PEDANA ELETTRICA CHE PURTROPPO NON SUPPORTA IL PESO DI UNA CARROZZINA ELETTRICA....
ROMA 05-09-2012






mercoledì 20 giugno 2012

Quanto «costa» allo Stato il finanziamento della Chiesa cattolica


Quanto «costa» allo Stato il finanziamento della Chiesa cattolica
Fin dalla sua costituzione lo Stato italiano ha contribuito al sostentamento del clero cattolico «in cura d’anime» con un finanziamento pubblico, che si configurava come risarcimento per la perdita dei molti beni ecclesiastici da esso confiscati con le leggi cosiddette eversive. Lo Stato si faceva carico, in pratica, della volontà dei «fedeli», che con i loro lasciti avevano costituito il patrimonio delle chiese, sostituendo le rendite, che ne sarebbero derivate, con il suo contributo diretto al mantenimento dei parroci. Chiamato congrua perché integrava le offerte dei fedeli per renderle adeguate alle necessità delle parrocchie, tale contributo era progressivamente rivalutato senza più un rapporto reale con le rendite perdute.

La situazione non cambiò molto con i Patti Lateranensi del 1929 che, mentre con la Convenzione finanziaria risolsero definitivamente il contenzioso economico tra l’Italia e la Santa Sede, con il Concordato mantenevano il pagamento della congrua ai parroci in cura d’anime, non quindi a tutti sacerdoti. Convenzionalmente considerata ancora come restituzione dei beni ecclesiastici continuò ad essere rivalutata negli anni.

Il sistema è, invece, radicalmente mutato con l’Accordo del 1984 di revisione del Concordato, voluto da Bettino Craxi, e con la legge 222/85 di applicazione dell’intesa finanziaria in esso contenuta che configura un sistema di finanziamento pubblico affidato alla gestione della Conferenza episcopale italiana, Cei.

Non si tratta, infatti, di autofinanziamento, come si tentò di far credere in un primo momento, ma di autentico finanziamento diretto da parte dello Stato che copre non solo le spese del sostentamento dei parroci, come ai tempi della congrua, ma l’intera attività della Chiesa cattolica.

Per di più su tale modello si sono definite le norme di finanziamento delle altre confessioni religiose che hanno stipulato Intese con lo Stato italiano. Esse, eccetto l’Unione delle Comunità ebraiche, dichiarano, però, di non usare le somme ricevute dallo Stato per il mantenimento delle loro strutture, ma solo per attività assistenziali e culturali in Italia all’estero.
Otto per mille e deduzione fiscale
La suddetta legge 222/85 configura due forme di finanziamento.

La prima prevede la sottrazione dell’otto per mille del bilancio dello Stato alla giurisdizione del Parlamento per affidarne la destinazione alle scelte dei contribuenti, che quindi nulla pagano in più delle imposte dovute, la seconda prevede che i contribuenti possano dedurre dal loro imponibile fiscale un esborso diretto a favore di una confessione religiosa. Anche questo grava, ugualmente, sul bilancio dello stato sotto forma di «lucro cessante».
In conformità a questa normativa ogni anno una percentuale pari all’otto per mille del gettito complessivo dell’Irpef (non delle imposte di ciascuno), va alla Chiesa cattolica sulla base delle scelte dei contribuenti. Tale percentuale, in costante aumento per la diminuzione dell’evasione e per l’aumento dell’inflazione, è accresciuta dalla successiva ripartizione dell’ammontare annuo dell’otto per mille su cui non si sono esercitate scelte e che è ridistribuito, in base a quella percentuale, tra gli enti (Chiesa cattolica, Governo, e altre confessioni) che la legge prevede come destinatari dell’otto per mille. Nel corso degli ultimi anni solo il 45% degli aventi diritto hanno in media effettuato la scelta. Di questi circa il 75% ha destinato l’otto per mille alla Chiesa cattolica, a cui viene attribuito, grazie alla norma suddetta, la stessa percentuale della quota di quanti non hanno scelto.

Nei primi quattro anni (1989-1993), dopo l’entrata in vigore della nuova normativa, non essendo possibile calcolare l’entità delle scelte sono stati erogati ogni anno 406 miliardi di acconto, pari all’ammontare annuo della somma delle congrue alla firma dell’accordo, poi si sono avviati i versamenti regolari delle quote di pertinenza attraverso un complesso sistema di acconti e conguagli.

Per l’anno 1999 il finanziamento è stato pari a 1461 miliardi, 1.043 in acconto e 418 di conguaglio. Per il 2000 sono previsti 1.550 miliardi, 1.100 d’acconto e 450 di conguagli.

Dal 1989 sono stati erogati in tutto 9.408 miliardi, invece dei 4.060 se fosse restato in vigore il vecchio sistema, nel 2000 saranno 10.958 con la media annua di 1.000 miliardi.

Una seconda forma di finanziamento è costituita dal diritto, riconosciuto ai contribuenti, alla deduzione fiscale per le somme, fino a due milioni, erogate a favore della Chiesa cattolica o delle altre confessioni. Ne derivano contributi che nel corso degli anni, per la prima, si sono aggirati tra i quaranta e i quarantasei miliardi. Dal confronto tra il gettito delle due forme di finanziamento si può dedurre che quando si tratta di un esborso diretto i contribuenti sono meno generosi, non hanno mai superato il numero di 180.000 sui venti e più milioni di contribuenti.

Nella dichiarazione dei redditi del 1999 sono stati sottoscritti 42 miliardi. È difficile calcolare il lucro cessante per lo Stato, ma si può ipotizzare che si aggiri intorno ai 15 miliardi l’anno.
Finanziamento indiretto
Al finanziamento diretto alla Cei, si aggiungono altre forme di finanziamento che, seppure indirette, costituiscono pur sempre un onere per le pubbliche finanze in primo luogo gli stipendi dei ministri di culto (insegnanti di religione cattolica nelle scuole e cappellani nelle caserme, nelle carceri e negli ospedali) impegnati per motivi pastorali in strutture pubbliche.

Gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche costano circa mille miliardi l’anno. Nell’anno in corso sono a carico del bilancio della Pubblica Istruzione precisamente 976 miliardi per circa 20.000 insegnanti: 1415 nelle materne, a coprire 33.969 ore, 7.996 nelle elementari, a coprire 175.912 ore, e10.486 insegnanti nelle medie inferiori e superiori.

Essi, oltre a rappresentare un’ingombrante presenza confessionale nella scuola pubblica, costituiscono anche una riserva di operatori pastorali a disposizione delle diocesi. La pressoché piena discrezionalità delle curie diocesane nelle nomine e nelle conferme in servizio, mentre offre facili occasioni di favoritismi e di clientelismo, costituisce un forte strumento di pressione.

Gli stipendi dei cappellani militari, che recentemente sono stati estesi alla Polizia di Stato pur demilitarizzata, non raggiungono una cifra così elevata. Difficile è il calcolo del loro ammontare perché nei bilanci dei ministeri della Difesa e dell’Interno sono inseriti tra le voci concernenti le strutture finalizzate al benessere dei militari. Lo stesso si può dire per i cappellani delle carceri e degli ospedali.

È anche difficile, se non impossibile, valutare le somme che lo Stato non incassa per gli usi illegittimi delle forme di esenzione fiscale garantite alle attività e alle strutture destinate al culto. Queste, equiparate con la legge 121/85 alle attività culturali e assistenziali, godono di un particolare regime fiscale, esenzione dall’IVA e dall’imposta sui terreni. Va aggiunto il regime speciale di esenzione dall’Invim degli atti di compra-vendita di immobili di proprietà ecclesiastica. È innegabile che in questo regime sono facili le occasioni, che diventano tentazioni, di usare le finalità di culto come copertura di attività lucrative, pur se a maggior gloria di Dio. È facile che questo accada trattandosi di 16.500 istituti religiosi, 27.000 parrocchie e 16.000 enti di varia natura. Meno facile che siano indagati o perseguiti se si pensa alle difficoltà di far luce sulle attività finanziarie del cardinale Giordano, pur inquisito per fatti accertati di rilevanza penale, e se si ricorda l’omertà che ha coperto le vicende che hanno accompagnato la truffa dello Ior.

Possiamo aggiungere all’elenco la parte dei finanziamenti alle scuole private confessionali. Sono da respingere i tentativi di chiamarle «libere», perché in verità esse sono ideologicamente «orientate», o di assimilarle a quelle degli enti locali, non governative ma pur sempre pubbliche, perché la loro gestione è totalmente privata. Tali finanziamenti sono stati erogati fin qui in deroga alle leggi, mentre d’ora in avanti saranno legittimati, seppure in forma ambigua, dalla legge sulla parità scolastica approvata recentemente dal Parlamento. Si tratta della parte assolutamente maggioritaria dei 550 miliardi in essa stanziati per le scuole private dell’infanzia e per le scuole elementari. Per la media restano ancora fuori legge 10 miliardi pronti a moltiplicarsi legittimamente non appena le scuole confessionali cominceranno a chiedere e ad ottenere di diventare paritarie, cioè abilitate a svolgere «un servizio pubblico», con buona pace dell’articolo 33 della Costituzione.

Meno rilevanti, pur se significativi, i contributi statali alle Università confessionali cattoliche nel quadro di quelli attribuiti alle private.

A questo stesso capitolo vanno iscritti i contributi che le leggi regionali hanno fin qui concesso, e che si apprestano a concedere, agli alunni delle scuole private sotto forma di sostegno del diritto allo studio, in verità in applicazione del principio di sussidiarietà. Preferiscono erogare risorse a scuole confessionali, specie alle scuole per l’infanzia, piuttosto che incrementare l’istituzione di scuole pubbliche. Il Friuli, l’Emilia Romagna e la Lombardia sono all’avanguardia, ma, in diversa forma, anche le altre sono avviate ad imitarle.

Analogamente possono essere considerati costi le sovvenzioni erogate alle organizzazioni confessionali all’interno dei contributi che lo Stato sociale, Governo ed Enti locali - tanto vituperato se eroga pensioni o sostegno alla disoccupazione - distribuisce per promuovere cultura e qualità della vita. Dall’uso degli obiettori di coscienza alle convenzioni, un incontrollato flusso di risorse si trasforma in finanziamento pubblico di attività private con buona pace dei principi liberisti e del carattere «volontario» di molte delle organizzazioni assistenziali. A quelle confessionali cattoliche tocca una grossa fetta della torta. Esse sono la punta di diamante del rivendicazionismo che anima l’intero settore associativo.

Non per questo sono meno benemerite perché finanziate. Il loro impegno interviene in settori che lo Stato non può raggiungere o costituisce una supplenza in quelli in cui gli interventi pubblici, spesso malgestiti, sono poco efficienti. Si può dire, quindi, che tale esborso di pubbliche risorse non è del tutto a fondo perduto. Non si può neppure negare che i cappellani svolgano un utile servizio nelle carceri e negli ospedali, un po’ meno nelle caserme. Perfino 132 miliardi dello stesso otto per mille attribuito alla Chiesa cattolica quest’anno sono destinati ad opere assistenziali in Italia.

Anche dell’eccezionale finanziamento erogato dallo Stato in occasione del giubileo pari a 3.500 miliardi una parte è stata utilizzata per opere pubbliche d’interesse generale, pur se la maggior parte è stata destinata al rifacimento/ammodernamento di strutture ecclesiastiche. Ad essi si devono aggiungere i costi a carico dei bilanci statale o locali, relativi al servizio d’ordine, ai trasporti, al servizio pubblico radiotelevisivo, per consentire lo svolgimento e la spettacolarizzazione delle manifestazioni liturgiche e delle apparizioni papali. Solo alla fine dell’anno santo si potrà dire se hanno costituito un investimento redditizio o un gratuito contributo a sostegno del primato papale nella Chiesa cattolica.
Costi «politici»
Questo articolato e complesso sistema di finanziamento non è paragonabile con nessuno dei sistemi in vigore nei paesi europei siano i paesi scandinavi, i länder luterani tedeschi o l’Inghilterra, dove la chiesa è di Stato, siano i paesi cattolici come la Spagna, il Portogallo e il Belgio dove pure sono previste forme di finanziamento diretto alla Chiesa cattolica. In nessuno di questi ultimi, eccetto il Lussemburgo, si raggiungono forme così capillari di integrazione, con gravi conseguenze sul piano istituzionale, e livelli così elevati di deresponsabilizzazione dei fedeli nei confronti del mantenimento della loro Chiesa.

Si può, infatti, rilevare che, ai costi economici del finanziamento dell’apparato ecclesiastico cattolico, sono da aggiungere i riflessi negativi che esso ha sul piano istituzionale e politico.

In primo luogo c’è da rilevare che lo stesso meccanismo dell’otto per mille inquina il sistema istituzionale esautorando il Parlamento dalla gestione di una parte solo percentualmente determinata delle risorse ricavate dalle imposte, che invece devono essere destinate in conformità a precise norme legislative, affidandone la destinazione a singoli cittadini, per di più solo se contribuenti e dichiaranti. È leso con ciò un principio fondamentale dello stato democratico.

Per di più l’attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri della gestione della quota spettante allo Stato crea ogni anno un fondo di circa 150 miliardi di cui essa può disporre a discrezione. Il Capo del governo deve, infatti, solo indicare i criteri d’impiego in tempo utile perché il Parlamento possa esprimere il suo parere, obbligatorio non vincolante. Per di più non è svolta nessuna azione pubblicitaria per sollecitare i contribuenti, opportunamente informati, ad orientare le loro scelte verso lo Stato. Molti preferiscono astenersi nella scelta anche perché ignorano le norme, ribadite e precisate nel recente DPR 76/98, che vincolano il governo a destinare queste risorse, gestite fuori del bilancio ordinario, a precisi settori di impiego: la fame nel mondo, le calamità interne, l’assistenza ai rifugiati, la conservazione dei beni culturali.

In verità molti altri sono scoraggiati per l’uso distorto e discrezionale che ne hanno fatto i Presidenti del Consiglio. In generale sono stati dispersi in mille rivoli molti dei quali sono tornati a confluire verso strutture ecclesiastiche o organizzazioni confessionali. Talvolta le loro finalità sono state stravolte: Andreotti nel 1991 ha attinto al fondo per fronteggiare l’emergenza dell’immigrazione albanese di massa, e D’Alema otto anni dopo per finanziare la missione arcobaleno e la guerra «umanitaria» in Jugoslavia

Non meno negative sono le conseguenze che il finanziamento diretto dello Stato comporta nei rapporti interni alla Chiesa cattolica intesa come Comunità dei fedeli.

La Cei fissa annualmente l’ammontare lo stipendio mensile per tutti i sacerdoti, circa quarantamila, e lo eroga per intero a quelli che non hanno altre fonti di sostentamento. A quelli, che per la loro attività in strutture ecclesiali, o extraecclesiali percepiscono emolumenti, viene concessa una integrazione per raggiungere la quota fissata. Nessuna integrazione è dovuta a quelli che la raggiungono con il loro lavoro. Nel 1999 solo 103 sono stati a pieno carico, 36.509 hanno ricevuto un’integrazione, 3.200 sono stati autosufficienti.

In tal modo per tutti i sacerdoti cattolici, anche per i parroci, si conferma il ruolo di funzionari alle dipendenze della Cei dalla quale ricevono regolare stipendio: il suo Istituto Centrale Sostentamento del Clero paga i loro sostituti d’imposta. Con l’abolizione della congrua è venuta meno la pur limitata autonomia formale goduta dai parroci che, ricevendola direttamente dallo Stato, potevano esserne privati solo se formalmente destituiti dall’autorità ecclesiastica attraverso una procedura molto garantista.

Si può quindi affermare che la gestione dell’apparato ecclesiastico italiano si avvia ad diventare pienamente aziendalistica.

Questa concentrazione nelle mani della Cei dei poteri di gestione del finanziamento non aumenta solo il controllo sul clero, ma fa della sua Presidenza, del suo Presidente in particolare, un soggetto economico forte all’interno della comunità ecclesiale capace di condizionare anche le attività e gli orientamenti di gruppi e singoli per la discrezionalità di cui gode nell’elargizione di contributi. Si deve, infatti, tenere conto che solo 1/3 del finanziamento ricevuto come percentuale, in aggiunta alle scarse risorse ricavate dall’elargizione diretta, è impegnato per il sostentamento del clero. Restano circa mille miliardi da destinare a sostenere la pastorale nelle diocesi, ma anche le attività sociali, culturali e di comunicazione, locali e nazionali, a tutto vantaggio di una gestione autoritaria della comunità ecclesiale. La gerarchia cattolica, affrancata dalla necessità di essere sostenuta economicamente dai fedeli, si costituisce come un soggetto autoreferenziale e antidemocratico sulla scena politica italiana capace di egemonia nella società, anche per l’acquiescenza nei suoi confronti delle pubbliche autorità e di gran parte della classe dirigente.

GUADAGNI OTTO PER MILLE


Immaginate quanto ci costa mantenere uno Stato estero, uno pseudostato, un’entità fittizia e artificiale , un apparato che oltretutto si intromette spesso e pesantemente negli aspetti della vita del nostro Paese, anche mobilitando forze politiche e conducendo costose campagne di pressione rese possibili solo dall’enorme abbondanza di danaro di cui dispone.Chi conosce  i meccanismi  che arricchiscono la Chiesa a discapito delle finanze pubbliche  del nostro Paese? E perché nessun politico affronta questi argomenti?
La Chiesa Cattolica ,con le sue gerarchie non elette dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici , costa ai cittadini italiani più del sistema politico. Soltanto agli italiani , almeno in queste dimensioni. Non ai francesi , agli spagnoli, ai tedeschi , agli americani , che pure pagano come noi il costo della democrazia, magari con migliori risultati.Il sistema con l’ accordo del 1984 di revisione del Concordato , voluto da Bettino Craxi, e con la legge 222/85 di applicazione dell’intesa finanziaria in essa contenuta, configura un sistema di finanziamento pubblico affidato alla gestione della Conferenza Episcopale Italiana , la CEI.Non si tratta, infatti, di autofinanziamento, come si tentò di far credere in un primo momento, ma di autentico finanziamento diretto da parte dello Stato Italiano che copre non solo le spese del sostentamento del clero, come ai tempi della congrua, ma l’intera attività della Chiesa Cattolica.   Ne diamo qualche notizia , cominciando con i tributi all’erario che la Chiesa evade con l’autorizzazione legale dei Patti Lateranensi :
IRPEF:  (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) I dipendenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano sono esentati. Retribuzioni, pensioni e indennità di fine rapporto a propri impiegati e salariati, ancorché non stabili, sono esenti dall’Irpef e dall’imposta locale sui redditi.
IRES:  (Imposta sul reddito delle società) interamente assoggettato alla categoria del reddito d’impresa :un abbattimento del 50%  è previsto per una serie di soggetti tra cui gli enti di assistenza e beneficenza e gli altri enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di assistenza ed istruzione. Agevolazioni che comunque escludono gli enti ecclesiastici non riconosciuti o quelli che, pur riconosciuti, svolgono un’attività commerciale. Nel caso di attività promiscua commerciale-religiosa gli enti ecclesiastici devono distinguere le diverse fonti d’entrata. Le operazioni di carattere commerciale sono soggette all’Iva (ma quelle religiose commerciali ospedaliere e didattiche) e tenute al codice fiscale e partita Iva. Il reddito da fabbricati di proprietà del Vaticano è inoltre esente da Ires, mentre i fabbricati destinati in maniera esclusiva al culto e quelli dei cimiteri non sono considerati produttivi di reddito, a prescindere dalla natura del soggetto che li possiede.
ICI:  (Imposta Comunale sugli Immobili) :la Chiesa è esente dall’imposta comunale sugli immobili. Una vicenda questa che è stata più volte nel mirino delle polemiche. Se, originariamente l’esenzione era limitata ai fabbricati destinati in via esclusiva all’esercizio del culto – pertinenze (ad esempio le ‘canoniche’) comprese – è prevista da qualche anno anche l’esenzione dell’Ici per gli immobili adibiti a scopi commerciali, purché sia presente una seppur minima struttura destinata ad attività religiose come ad esempio una ‘cappella’.
IRAP:  (Imposta Regionale sulle Attività produttive) :gli stipendi dei sacerdoti non costituiscono base imponibile ai fini dell’Irap così come il trattamento fiscale dei proventi derivanti dall’attività lavorativa dei religiosi appartenenti agli enti ecclesiastici.
TRIBUTI VARI: gli immobili pontifici sono esenti sia da quelli ordinari sia straordinari, verso lo Stato o qualsiasi altro ente.
DAZI E DOGANE: Merci provenienti dall’estero e dirette alla Città del Vaticano, o fuori di questa, a istituzioni o uffici della Santa Sede, ovunque situati, sono sempre ammesse da qualunque punto del confine italiano e in qualunque porto della Repubblica al transito per il territorio italiano con piena esenzione dai diritti doganali e da dazi.A questo bisogna aggiungere qualche miliardo di euro dagli introiti dell’ 8 x 1000 , la fornitura idrica che da decenni la Chiesa non paga  : Dal 1929 lo Stato Italiano si fa carico della dotazione di acqua per lo Stato Vaticano: 5 milioni di metri cubi d’acqua. Per le acque di scarico, CdV (Città del Vaticano) utilizza Acea (Acea è una delle principali multiutility italiane. Quotata in Borsa nel 1999, è attiva nella gestione e nello sviluppo di reti e servizi nei business dell’acqua, dell’energia e dell’ambiente) , ma non paga le bollette. Perché? Perché considera Acea “straniera” e quindi non la riconosce. Nel 1999 Acea si quota in borsa e ha bisogno di soldi per il bilancio. Lo Stato Italiano cosa fa? Prende soldi dalle finanziare per tappare i buchi. Con la finanziaria 2005 stanzia 25 milioni di euro per dotare il Vaticano di un sistema di acque proprie. Acea continua però a lamentare i debiti. Finisce che lo Stato assicura allo stato pontificio la dotazione d’acqua richiesta (1059 once all’anno) con carattere di gratuità (come disposto dai patti lateranensi). Ad oggi quindi, il debito ammonta a circa 52 milioni di euro. Lo Stato ha pagato, Acea ha tollerato, il cittadino ’normale’ si vede, invece, (se moroso) sigillare il contatore   .
La Chiesa costa ogni anno ai contribuenti italiani circa 7 miliardi e mezzo di euro. Più del costo del sistema politico. Quasi una  finanziaria. Quella che vi presento qui non è che la stima ottimistica. Ce ne sono alcune che arrivano anche a 9 miliardi di euro all’anno.L’otto per mille, grazie ad un meccanismo messo a punto a metà degli anni 80 da un consulente del governo Craxi di nome Giulio Tremonti, assegna alla Chiesa Cattolica anche le quote di chi non ha espresso alcuna preferenza. Per fare un esempio, fatta 100 la base dei contribuenti, se ce ne sono 40 che mettono una croce su uno dei destinatari possibili dell’8 per mille, e 30 di questi scelgono la Chiesa Cattolica, i tre quarti degli altri 60 contribuenti che non hanno espresso alcuna preferenza – ben 45 persone – si troveranno a devolvere il loro 8 per mille al Vaticano. Da 30 preferenze reali a 75 con un colpo di bacchetta magica degno di Harry Potter. Un giochetto che porta nelle casse della Chiesa Cattolica circa un miliardo di euro ogni anno. Nel resto dell’Europa diversamente religiosa, naturalmente, la contribuzione è non solo volontaria, ma le quote derivanti dalle preferenze non espresse restano allo Stato.
Se siete deboli di cuore non leggete la prossima frase. L’Art.47 della legge 20 maggio 1985  , n. 222 stabilisce che ogni anno, entro il mese di giugno, lo Stato corrisponde alla Conferenza Episcopale Italiana un anticipo calcolato sulle preferenze espresse dell’anno precedente. Avete capito bene: voi anticipate ogni anno le tasse e l’Iva sulla base dei vostri guadagni passati e della presunzione di quelli attuali. Se non avete guadagnato dovete giocoforza andare a rubare. Lo Stato, viceversa, prende i vostri anticipi e li anticipa alla Chiesa Cattolica. Che glieli abbiate dati o meno. Nel 2007 abbiamo anticipato alla CEI 354 milioni di euro.
Un altro miliardo se ne va per gli stipendi ai circa 22 mila insegnanti di quella che impropriamente viene chiamata ora di religione. In realtà, anche tecnicamente, si chiama Insegnamento della Religione Cattolica (IRC), anche se lo stato non sa bene cosa effettivamente si insegni durante le lezioni. Quello che è certo è che i docenti – pagati dallo Stato italiano – ma nominati dalle Curie , che si azzardano ad accennare alla storia delle altre religioni o a diverse concezioni del mondo, vengono licenziati (in un caso su 250).
Almeno 700 milioni di euro vengono versati da tutti noi per le convenzioni su scuola e sanità. Nel solo 2004, le scuole cattoliche hanno beneficiato di 258 milioni di euro di finanziamento, 44 milioni per le cinque Università cattoliche, 20 milioni per il Campus Biomedico dell’Opus Dei, portati a 30 dall’anno successivo. Con la circolare ministeriale 38/2005, le scuole non statali hanno raddoppiato le elargizioni: 527 milioni di euro, portati a 532,3 milioni a fronte dei tagli all’istruzione. Si impoverisce l’istruzione per tutti, si arricchisce l’istruzione per pochi. Più siete ignoranti, più siete propensi a votare per maghi, ballerine, showgirl e presentatori.Le convenzioni pubbliche con gli ospedali cattolici ammontano poi a un altro miliardo di euro. Quelle con gli istituti di ricerca a circa 420 milioni mentre le case di cura raggranellano la bellezza di 250 milioni di euro.
Poi ci sono le regalie una tantum. Il Giubileo è stato finanziato con quattro spicci: 3500 miliardi di vecchie lire. Uno degli ultimi raduni di Loreto ci è costato 2,5 milioni di euro e così via, per una media annua di circa 250 milioni di euro.
Il mancato incasso dell’Ici vale circa 700 milioni di euro all’anno, ma c’è chi   valutando il patrimonio immobiliare della Chiesa in alcune centinaia di miliardi di euro, arriva a considerare il mancato gettito fiscale pari ad almeno 6 miliardi di euro all’anno. Lo sconto del 50% su Ires, Irap e altre imposte ci costa più o meno 500 milioni. L’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, con i suoi 40 milioni di pellegrini che ogni anno vanno avanti e indietro dall’Italia, ammonta ad altri 600 milioni di euro.
A questi dati, si aggiungono i 52 milioni di euro   calcolati  nell’articolo Tele-Vaticano  : il subappalto alla Chiesa Cattolica di oltre due terzi del palinsesto del servizio pubblico televisivo, che il trattato di Amsterdam ( http://europa.eu/legislation_summaries/institutional_affairs/treaties/amsterdam_treaty/index_it.htm ) ci obbliga a ricollegare direttamente alle esigenze democratiche, sociali e culturali della società, e all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione.Poi per non perdere l’abitudine nello spillare soldoni allo Stato Italiano ci sono gli assistenti spirituali (preti o monaci) che svolgono la loro attività di curatori delle anime in tutte le caserme delle Forze Armate italiane , che ricoprono il grado di Ufficiale (Capitano , Maggiore o Tenente Colonnello) con il relativo stipendio che il grado prevede , logicamente con ufficio , segreteria personale e auto di servizio (da tenere presente che lo stipendio per quei gradi oscilla dai 2700 euro ai 4000 secondo il grado , mensile per 13 mesi all’anno) , poi si aggiungono gli assistenti spirituali negli ospedali, nelle carceri e il loro inquadramento è previsto nei livelli retributivi medio alti , il tutto grava ,sempre e solo, sulle finanze dello Stato o delle Regioni.
Non esiste un altro paese che spende altrettanto per il costo di una religione. Nessun altro paese laico, ovviamente.
A fronte di tutto questo, qualche tempo fa la Chiesa Cattolica ha diramato un comunicato ( http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new/bd_home_cci.vis?id_n=2036 ) dove afferma che “non è certo espressione di laicità, ma la sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione”. Non oso immaginare quale tributo di sangue dovremmo pagare se non fossimo così ostili a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione. L’Avis al confronto è uno spaccio di succhi di frutta.
Ovviamente non sono tutte rose e fiori. Anche la Chiesa, come la RAI fa con l’AGCOM ( http://www.byoblu.com/post/2009/08/20/TeleVaticano.aspx ), deve inviare un resoconto dettagliato allo Stato italiano sull’utilizzo delle somme derivanti dall’incasso dell’otto per mille. L’articolo 44 della legge 20 maggio 1985  , n. 222 dispone che la Conferenza Episcopale Italiana trasmetta annualmente all’autorità statale competente il rendiconto relativo all’effettiva utilizzazione delle somme di cui agli articoli 46, 47 e 50, terzo comma, della stessa legge.
Se avete presente gli spot elettorali della CEI per incentivare la preferenza sull’otto per mille, quelli con la musica strappalacrime e i bambini africani che spalancano enormi occhioni scuri provati dalla fame, sapete bene che il mantenimento delle missioni e gli interventi caritativi nel mondo sono un argomento efficacemente usato per convincervi ad apporre la famigerata firma sulla dichiarazione dei redditi. Stupisce quindi che gli interventi caritativi a favore dei paesi del terzo mondo, nel rendiconto relativo all’utilizzazione delle somme pervenute nel 2007   , assommino a soli 85 milioni di euro, circa l’8% del totale ricevuto. C’è poi un 12% utilizzato per interventi di carità in Italia e il resto serve all’autofinanziamento: il 35% va agli stipendi dei quasi 40 mila sacerdoti italiani, mentre mezzo miliardo all’anno viene speso per imperscrutabili esigenze di culto, spese di catechesi, attività finanziarie ed immobiliari. “Il Vaticano è il più ricco Stato del mondo per reddito pro capite.”  Sentite questa dichiarazione : “La Chiesa sta diventando per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo.”
Non sono frasi mie queste. L’ha detto trent’anni fa un teologo progressista: Joseph Ratzinger.
Alla fine facendo un po’ di conti di aritmetica pura, con i circa 8 miliardi di euro all’anno,  per gli ultimi 27 anni che intercorrono tra la Revisione del Concordato del 1984 ad oggi , la somma versata sotto forma di tangente allo stato del Vaticano è stata di 216 miliardi di euro , che tradotti in vecchie lire assommano a 424mila miliardi. Possono secondo voi gli italiani sopportare questo pizzo di vera camorra, per lo più in questa fase di profonda crisi economica che sta affamando un intero popolo?